di Alberto Moioli – Ricordo diversi anni fa che si discuteva se alla direzione di un Museo era meglio avere uno storico dell’arte oppure un manager. Oggi il dibattito in tal senso è, ahimè ,cambiato. Il problema legato a molti ambiti, non solo a quelli della cultura, è ascrivibile al campo delle competenze. Da tempo infatti è diventato sempre più una pessima abitudine, destinare ruoli di prestigio in ambito culturale a politici sconfitti dalle elezioni o estromessi dai luoghi di potere. Normalizzando e accettando questo processo passivamente significa che potremmo tranquillamente trovare un esperto in biologia, per fare un esempio, come direttore di un grande museo italiano d’arte contemporanea.

Ecco perché un approccio epistocratico è sinonimo di serietà ed ecco perché è necessario fare forse un passo indietro nel tornare a valutare competenze e ruoli attraverso il percorso personale e professionale di ognuno, per farne due in avanti destinando il futuro del comparto culturale italiano a professionisti preparati e con una storia importante sulla quale farsi forza. 

Nella società moderna, in continua e rapida evoluzione, le competenze rivestono un’importanza cruciale per il progresso sia individuale che collettivo. Queste, intese come l’insieme delle conoscenze, delle abilità e delle attitudini di una persona, rappresentano il fondamento del successo personale, professionale e sociale. Oggi queste competenze sono inserite in freddi curriculum e filtrati da un programma che attraverso un algoritmo preseleziona attraverso la presenza o meno di certe parole chiave. Ripenso a quante persone straordinarie ho conosciuto nella mia vita che forse non hanno avuto il successo che meritavano proprio perché giudicate da un algoritmo.

Epistocrazia è un concetto particolarmente affascinante che prevede, ad esempio, un sistema di governo in cui il potere decisionale è riservato a individui con competenze e conoscenze specifiche. Questo principio mette in luce l’intrinseco valore delle competenze anche nell’ambito politico e decisionale, argomentando che coloro che possiedono una comprensione più approfondita delle questioni complesse siano meglio equipaggiati per prendere decisioni a vantaggio della società nel suo complesso.

Tale approccio suggerisce che le competenze non solo alimentano il successo personale, ma possono anche rivelarsi determinanti per una governance più efficace e informata, richiamando l’idea di un’élite intellettuale capace di guidare la collettività con saggezza.

Tutto ciò mi riporta alla memoria la Firenze rinascimentale ai tempi di Lorenzo de Medici, che pur non essendo un politico di professione, governò Firenze con straordinaria abilità e saggezza, diede grande valore alle arti e la cultura in modo da rendere il suo operato unico. Lorenzo il Magnifico non aveva alcun un titolo formale in gestione culturale o politica, la sua passione, il suo intuito e la capacità di riconoscere e valorizzare il talento degli altri lo resero un leader. Questo esempio dimostra che la competenza non risiede solo nei titoli accademici o nei curriculum, ma anche nell’esperienza, nella visione e nella capacità di ispirare e guidare gli altri.

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