Si è aperto in questi giorni all’interno del nostro gruppo un interessante dibattito sul tema “Il politico deve o non deve essere un professionista?”.
Noi epistocratici abbiamo un’alta concezione della politica e ci sentiamo umiliati nel vederla oggi retaggio di personaggi di scarsissime qualità morali e materiali, prodotto della demagogia dominante negli ultimi decenni; per questa ragione, pur da una angolazione laica, abbiamo fatto nostra l’affermazione del Concilio Vaticano Secondo, che definiva la politica “un’arte nobile e difficile”.
Conseguentemente riteniamo che sia assolutamente opportuno che esistano i professionisti della politica (quella vera con la P maiuscola) o che quanto meno sia preferibile che chi si dedica alla politica lo faccia in modo serio e professionale, che sia poi una cosa più o meno definitiva siano gli elettori – anch’essi però seri e preparati – a stabilirlo.
E’ evidente che un argomento di questa portata richiederebbe quanto meno un convegno e non possa essere esaurito in poche e semplici osservazioni; proviamo comunque a sintetizzare le principali ragioni che ci portano a questo convincimento.
1. L’orgoglioso dilettantismo politico affermatosi nella seconda repubblica e portato a compimento nella terza ha prodotto e sta producendo effetti devastanti.
2. La ragione risiede nel fatto che il dilettante politico è fragile, spesso impreparato e proprio per questo supino ad altri poteri che magari ne hanno determinato l’elezione.
3. Eliminare la figura del politico di professione significa infatti indebolire moltissimo la politica e abbandonandola alla mercé di altri poteri: giudiziario, imprenditoriale, giornalistico, quando non – ma questo non è per il momento il caso dell’Italia – militare o religioso.
4. Non è un caso che chi combatte più pervicacemente l’odiata casta (e su questo occorrerà fare più avanti un opportuno approfondimento) sia proprio il “quarto potere”, quel giornalismo in passato totalmente asservito alla politica, e oggi inebriato da quella voglia di protagonismo che lo induce a consumare trucide vendette a favore proprio o di nuovi padroni.
5. Chi più di tutti si avvantaggia del “politico a tempo” è proprio quel sistema che più avrebbe bisogno di essere riformato: quello burocratico; primo perché il proprio potere di influenza è direttamente proporzionale al livello di impreparazione dell’altro, secondo perché in caso di conflitto sa bene che lui rimane mentre il politico di turno, passato il “temporale”, se ne torna a casa.
6. Vorremmo inoltre ricordare che i grandi politici del recente passato sono sempre stati dei “professionisti”, magari con esperienze lavorative pregresse, ma una volta divenuti politici lo sono stati quasi sempre a titolo definitivo (penso a Roosevelt a Churchill a Kohl, ma anche a De Gasperi a Moro a Berlinguer).